Nelle prossime settimane assisteremo al ritorno di armenti e greggi dalle malghe di montagna: per loro si è appena conclusa la stagione dell’alpeggio ed ha inizio il periodo dei pascoli invernali.
La data del 29 settembre, festa di San Michele, indicava nei provvedimenti legislativi medievali il momento in cui iniziare la discesa verso la pianura: durante questo viaggio di antica tradizione troveranno prossimamente ad accoglierli alcune feste paesane, nelle quali sarà possibile la degustazione e la vendita dei loro prodotti caseari. Esse ci ricordano tempi ormai lontani, quando l’arrivo di questi animali era salutato dalle popolazioni di pianura in virtù dell’apporto reciproco che agricoltura ed allevamento riuscivano a darsi, l’una concimando il terreno per la stagione dei raccolti e l’altra ospitando gli animali per la permanenza in pianura durante la fredda stagione.
Il rapporto tra queste due realtà non era sempre idilliaco: molteplici erano i contrasti che sorgevano per i danni che questi grossi animali potevano creare durante il loro passaggio e numerose sono le tracce che hanno lasciato le denunce dei contadini di allora all’interno degli archivi storici.
Le prime attestazioni di tale attività in Veneto affondano nella remota età del Bronzo. Gli antichi tracciati che questi animali percorrevano saranno interessati da una profonda riorganizzazione in epoca romana, durante le ridefinizioni agrimensorie che a partire dal I a. C. hanno visto la conversione degli spazi non coltivati ad uno sfruttamento intensivo del territorio basato sulla piccola e media proprietà terriera.
Questo cambiamento, che apparentemente sembrava sottrarre all’allevamento proprio quegli spazi incolti di cui necessitava per l’alimentazione ed il transito degli animali, non ha influito negativamente sulla pastorizia ovi-caprina: fonti scritte di epoca tardo-repubblicana ed alto-imperiale, infatti, testimoniano come la produzione laniera dell’antica Patavium raggiungesse quantità superiori rispetto alla media delle altre città e Strabone stesso ci racconta che la lana patavina arrivava a rifornire perfino i mercati della stessa Roma.
La città di Padova risultava infatti efficacemente collegata ai comprensori pedemontani da due vie armentarie che, snodandosi dal crocevia di Ponte Molino, si dirigevano verso nord seguendo l’asse del fiume Brenta.
Il più occidentale di questi due itinerari, noto con il nome di “Arzeron della Regina”, piegava verso nord-ovest percorrendo l’attuale tracciato via Beato Pellegrino; esso dirigeva il suo percorso verso l’altopiano di Asiago passando attraverso l’abitato di Marostica.
Il secondo tracciato, indicato con il più generico nome di via “di sinistra Brenta”, piegava invece verso nord-est seguendo nel suo tratto iniziale il medesimo percorso della Via Aurelia; i due tracciati si separavano all’altezza di Vigodarzere, da dove la via “di sinistra Brenta” prendeva la direzione di Cittadella e Bassano per poi giungere fino a Pove del Grappa, come testimoniato da alcuni ritrovamenti archeologici. Da qui si ipotizza potesse proseguire il suo itinerario collegandosi ai pascoli della Valsugana.
L’attività del pastore ai giorni nostri è sempre più difficoltosa, principalmente a causa della svalutazione economica che negli ultimi 20 anni ha subito la vendita dei suoi prodotti. Tale situazione è salita agli onori della cronaca grazie a numerose manifestazioni di protesta, tra cui le più celebri sono sicuramente quelle dei pastori sardi, che denunciano la generale crisi in cui versano da anni le loro imprese. Non solo, in Veneto anche l’aumento delle attività edilizie e della cementificazione, che secondo i dati I.S.P.R.A. sul consumo del suolo raggiungerebbero per il Comune di Padova quasi il 50% del territorio, hanno ridotto notevolmente la presenza di corridoi verdi, che garantirebbero loro i necessari transiti stagionali, e le multe in cui incorrono per dover quindi sconfinare nelle strade pubbliche sono estremamente salate. A ciò si aggiunge una burocrazia che rende sempre più difficile ottenere i permessi di transito, in stretta competizione con le attività agricole e in un clima di penuria sempre più soffocante di spazi verdi.