IL CIMITERO EBRAICO AL LIDO DI VENEZIA

La Repubblica di Venezia diede agli ebrei la possibilità di creare un proprio cimitero nel 1386 concedendo loro un terreno incolto, a S. Nicolò del Lido, la cui proprietà era però reclamata dal monastero di S. Nicolò.

Terminata la disputa con i frati, dal 1389 il cimitero fu utilizzato senza interruzioni e successivamente ampliato raggiungendo la massima espansione nel 1641.

Dopo tale data, l’ampliamento del sistema di fortificazione del Lido, voluto dalla Serenissima per difendersi dai turchi, portò ad un lento, ma costante, ridimensionamento degli spazi cimiteriali verso sud, tanto che nel 1736 si rese necessario da parte della “Università degli ebrei” l’acquisto di un terreno confinante.

La caduta della Repubblica veneziana, le occupazioni straniere con relativi atti vandalici, e gli agenti atmosferici portarono alla scomparsa di molti monumenti e al degrado del cimitero ebraico.

Nel XIX secolo, a causa del piano di risanamento e rilancio del Lido di Venezia, parte dell’area cimiteriale (ormai demaniale) venne espropriata e destinata ad altri usi.

In seguito, alcuni tentativi di recupero furono iniziati, senza successo, e nel 1938 (promulgazione leggi razziali in Italia) il cimitero fu definitivamente abbandonato.

Nel 1999 è stato iniziato un complesso lavoro di recupero, grazie al concorso di risorse pubbliche e private, italiane e straniere, tra cui Save Venice Inc. e Steven E Alida Brill Scheuer Foundation che  ha permesso di restaurare molte lapidi e di catalogate più di mille databili tra il 1550 e il primo ‘700.

Ora questo suggestivo luogo, testimonianza di secoli di storia ebraica veneziana, ha recuperato la propria dignità ed è visitabile grazie a tour guidati prenotabili tramite il Museo.

 

Bet qevaròth o Beth hayyìm (casa della vita)

I cimiteri talvolta rimangono l’unico ricordo ancora tangibile della presenza nei secoli passati delle antiche comunità ormai scomparse. Il concetto ebraico del rispetto della morte esige che il defunto venga accompagnato con religiosa sollecitudine al cimitero e posto in diretto contatto con la terra. E’ azione meritoria lavare il corpo di un morto, accompagnarlo nel suo ultimo viaggio e partecipare alla sua sepoltura. Dopo la lavanda rituale, della quale si incarica la confraternita ebraica per la sepoltura, la salma viene avvolta in abiti di tela bianca, come simbolo di purezza spirituale. Dopo il seppellimento il corpo non può più essere rimosso, tranne che per essere sepolto in Israele.

Dopo la sepoltura, inizia il periodo di lutto (’avelùth): i congiunti, per sottolineare la loro manifestazione di dolenti, tagliano un lembo dell’abito (Qeri‘à) e si attengono alle regole di lutto strettissimo per una settimana, durante la quale siedono su bassi sgabelli; per i primi trenta giorni gli uomini non si radono, né si tagliano i capelli.

Durante il periodo di lutto viene recitato in memoria del defunto il Qaddìsh, che è una preghiera di esaltazione e rassegnazione alla volontà di Dio.

Nei cimiteri, le tombe sono costituite da una semplice lapide con ornamenti ridotti all’essenziale per non associare fasto all’austerità della morte. E’ una usanza ebraica portare sulle tombe non fiori, bensì un piccolo sasso.

 

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